l'orsa di mezzo

Perché tra il maggiore e il minore non c'è un buco nero


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Quinto: delirio materno

Ti guardo mentre dormi.
Lo faccio ogni notte, da molti anni.
Mi siedo sul bordo del letto, facendo attenzione a non svegliarti, e lascio che l’occhio corra lungo il tuo corpo abbandonato, ringraziando il caldo complice che ti costringe a scostare il lenzuolo, e mi permette di osservarti meglio e cadere nella malìa di una meraviglia segreta e sempre nuova.
Lo spazio che occupi è ogni giorno più grande. Si avvia con prepotenza a conquistare la sua personale dimensione. Quante volte, in uno slancio protettivo ed egoistico insieme, ho desiderato scioccamente che si fermasse, per conservarti innocente e mantenere per me l’esclusività del tuo sguardo rapito!
Resisto alla tentazione di toccarti, non voglio spezzare bruscamente l’avventura folle che domani mi racconterai.
Alcune volte l’ho fatto. Posando un bacio il più possibile leggero sui  tuoi capelli arruffati, ho provocato un movimento secco o un sorriso o un borbottio senza senso, o ancora mi sono ritrovata addosso due occhioni spaventati. Stanotte non intendo disturbarti e ti guardo soltanto, affascinata dall’armonia perfetta del tuo volto, compiaciuta e turbata dalla sensualità di quelle labbra carnose, che presto saranno il primo veicolo del tuo allontanarti da me.
In fondo non sono che la matita che la vita ha impugnato per tracciare queste linee acerbe.
Hai preso una parte consistente di me, che non potrò più essere quella di prima, lo sai? Ci sono giorni in cui capita che questo mi pesi un po’. Ma non me l’hai chiesto, sono stata io a dartela, questa energia, che a mia volta presi a manciate, senza peraltro ringraziare.
Che il conto, alla fine, pareggi?
Ti guardo dormire, e scivolo dietro al tuo respiro in un incanto ipnotico, che risucchia il senso del tempo, come mi succede soltanto davanti al mare, nei migliori amplessi, o quando mi immergo in quelle pagine che mi sanno irretire.
Potrei stare qui tutta la notte a contarti le efelidi sul viso e sorridere delle buffe espressioni del tuo sonno, dimenticando l’ansia della sveglia e la fatica del lavoro.
E’ il momento più prezioso. Intimo e sereno, scevro dalle tensioni del giorno, ma anche tormentato ed univoco, perché saranno quelle, che ricorderai, e non questi momenti di intensa tenerezza dei quali sei protagonista incosciente.
Spero che un po’ d’amore filtri anche così, attraverso le palpebre chiuse.
Non si offendano i poeti, e la Natura sorvoli indulgente, su quanto sto per dire a bassissima voce.
“Al mondo nulla è più bello di te, figlio mio”.