l'orsa di mezzo

Perché tra il maggiore e il minore non c'è un buco nero


24 commenti

Settimo: ma vaffantube!

Gemma ha messo la sveglia alle sei.
Si è alzata e preparata con la solita, meticolosa cura. Lenti a contatto, trucco perfetto in ogni dettaglio, forma troppo giusta ai capelli. Leggins, anfibi e maglione preferito.
Un treno la consegna alla città, punto d’incontro con le  amiche. Insieme, su altre rotaie, attraversano parte del norditalia per raggiungere la metropoli e partecipare all’evento che aspettavano da mesi.
Un’ora di coda per entrare nel locale poi, finalmente, tutti i loro youtubers preferiti a portata di mano, occhi, voce, selfie, tachicardia.
L’ambiente è diviso in settori. Stracolmo di gente, soprattutto ragazzine come lei. Musica e parole a volume altissimo.
Per fare una foto con chiunque bisogna mettersi in fila. Una fila eterna e pressante. Senza bere, perché dentro non si può portare nulla. Al bar, per la modica cifra di due euro, ti vendono un bicchiere d’acqua, ma se esci dal tuo posto torni in fondo, quindi Gemma e le sue amiche neanche ci pensano a perdere la posizione conquistata. Preferiscono mille volte arrivare alla meta disidratate.
Mamma l’aveva detto, di non mettere il maglione di lana, ma la mamma, in quanto tale, non capisce mai niente.
Tre ore di attesa valgono una foto con Arf, Casper, Timer e Toy, ma quando Gemma riesce a mettere insieme i pezzetti di cuore e a raggiungerli, i saluti masticati mille volte cadono nel vuoto, e il suo sguardo adorante rimbalza sui menti dei beniamini già stanchi, che manco fanno lo sforzo di abbassare gli occhi sull’ennesima fan, ma sorridono imbalsamati al click numero mille.
“E’ stato come mettersi  in posa tra due statue di cera” racconterà delusa ai genitori più tardi. “Ma non era colpa loro, era l’organizzazione, che non funzionava”. Già, l’organizzazione.
Dai Beatles in poi, annusato il business, dietro questi eventi c’è sempre chi sa ricavare il massimo da ogni occasione, chi lucra senza ritegno sulle emozioni esplosive di sciami di ragazzine che si consumano per un sorriso. E spendono, spendono, spendono. Un potenziale ormonale inesauribile da sfruttare col minimo sforzo, senza neanche prendersi il disturbo di mettere due transenne. Tanto, al prossimo richiamo, quelle tornano. E’ gente che per un bacio di un OneD baratterebbe la pelle di suo padre (perché quella della madre la darebbe via per molto meno).
La giornata sfuma praticamente in code. Un’ora per una selfie con Mizzy e Jam. Altre due per una con Ralphie che poi va via e lascia solo Zen, che “chi lo conosce ma già che ci sei la foto la fai con lui, lo vuoi mica umiliare?”
La fiera delle webvanità si consuma così. In fila. Sudati risparmi sborsati per morire di sete, di caldo, di ressa, per avere in cambio briciole di nulla.
Più tardi un’altra somma di treni riporterà Gemma e le sue amiche a casa. Sfatte, insoddisfatte, miracolosamente illese ma comunque felici di esserci state.

L’adolescenza è una malattia.
Non esiste un vaccino, ci passano tutti e per fortuna prima o poi guarisce da sola.
Quasi sempre.

 

 

 

 

 

 

Pubblicità


20 commenti

Sesto: che dire

ansa_10972682_07220Sento raccontare questa storia da un radioascoltatore:
“Ero in coda in autostrada. Ogni tanto affiancavo un’auto guidata da una bella ragazza. Scambio di sguardi, prima distratti, poi sfuggenti, poi divertiti, via via curiosi, intriganti, ammiccanti. Man mano che il tempo passava, si rimaneva sempre inchiodati al passo di lumaca e ci si incontrava grazie al moto alternato delle corsie.
Misi la freccia per passarle davanti, lei mi lasciò strada.
Approfittando del fatto che praticamente non stavamo guidando alzai le mani e con le dita feci i numeri del mio cellulare, sperando che lei cogliesse.
Poco dopo mi arrivò un messaggio. Aveva colto.
Ci incontrammo in un autogrill, prendemmo un caffè e scambiammo qualche piacevole chiacchiera.
La settimana dopo venne a trovarmi nella città in cui vivo, a duecento km dalla sua, e uscimmo a cena.
Dopo aver mangiato e passeggiato un po’ buttai lì un invito a salire a casa mia e lei mi rispose: “Secondo te sono venuta fin qui solo per andare al ristorante?”
Al termine di una notte di salti mortali, lei tornò a casa sua.
Non ci siamo mai più visti né sentiti.”

A parte il fatto che la storia è palesemente inventata e fa parte dell’immaginario erotico dell’automobilista frustrato medio, cosa succederebbe se la stessa cosa capitasse a me?

1- non mi capiterebbe, perché a me si affiancano solo:
a) persone che si scaccolano;
b) bambini che fanno le smorfie;
c) ultrasettantenni con cappello;
d) coppie sbadiglianti;
e) TIR di cui non vedo l’autista e anche se lo vedessi non lo guarderei, con tutto il rispetto per gli autisti di TIR.

2- Se mi capitasse un figo affiancante, di sicuro non me ne accorgerei.

3- Se mi affiancasse un figo e me ne accorgessi, la fila in cui viaggia si libererebbe e lui sfreccerebbe via.

4- In caso ciò non accadesse, si libererebbe la mia e quelli dietro comincerebbero a strombazzare.

5- Se mi si affiancasse ripetutamente un figo, io me ne accorgessi, lui anche, e nessuna delle due file si liberasse, al suo tentativo di passarmi davanti io non capirei e stringerei imprecando.

6- Se mi si affiancasse ripetutamente un figo, io me ne accorgessi, lui anche, nessuna delle due file si liberasse, lui riuscisse a passarmi davanti e cominciasse a fare gesti con le dita, penserei:

a) È impazzito;
b) Gesticola parlando al telefono;
c) Fa segni a qualcun altro davanti;

7- Se mi si affiancasse ripetutamente un figo, io me ne accorgessi, lui anche, nessuna delle due file si liberasse, lui riuscisse a passarmi davanti, cominciasse a fare gesti con le dita e io capissi che mi sta suggerendo il suo numero di telefono, non riuscirei a memorizzarlo.

8- Se mi si affiancasse ripetutamente un figo, io me ne accorgessi, lui anche, nessuna delle due file si liberasse, lui riuscisse a passarmi davanti, cominciasse a fare gesti con le dita, io capissi che mi sta suggerendo il suo numero di telefono e riuscissi miracolosamente a memorizzarlo, non troverei il cellulare o altro su cui appuntarlo.

9- Se mi si affiancasse ripetutamente un figo, io me ne accorgessi, lui anche, nessuna delle due file si liberasse, lui riuscisse a passarmi davanti, cominciasse a fare gesti con le dita, io capissi che mi sta suggerendo il suo numero di telefono e riuscissi miracolosamente a memorizzarlo, se trovassi il cellulare e componessi il suddetto numero, scriverei come minimo un ciao con l’occhiolino a un macellaio di Velletri, con tutto il rispetto per i macellai di Velletri.

10- Se mi si affiancasse ripetutamente un figo, io me ne accorgessi, lui anche, nessuna delle due file si liberasse, lui riuscisse a passarmi davanti, facesse gesti con le dita, io capissi che mi sta suggerendo il suo numero di telefono e riuscissi a memorizzarlo, se trovassi il cellulare e gli scrivessi un messaggio senza sbagliare numero o strisciare contro il guard-rail, esiterei al bivio per l’autogrill (esco, non esco. E se poi mi porta in un luogo nascosto e mi asporta un rene? Esco? No. Sì, boh…) infilandomi nel posteggio per i camion e perdendomi in un bosco di ruote grandi come la mia macchinina, mentre il figo mi aspetta al bar e per ingannare l’attesa dà il suo numero ad altre sette automobiliste.

Ma voglio essere ottimista.
Mettiamo che mi succedano lisce lisce tutte le cose improbabili di cui sopra, fino alla cena con passeggiata nella sua città.
Altro che: “Secondo te sono venuta fin qui solo per andare al ristorante”.
Prima di salire in casa di uno sconosciuto, per quanto bello possa essere, dovrei entrare in possesso dei suoi dati sensibili, corredati da certificato del casellario giudiziale e libretto sanitario validato semestralmente, e non basterebbe ancora, perché i maniaci assassini seriali hanno sempre aria, curriculum e referenze di bravissssime persone.

Vuol dire che farò a meno dei salti mortali di una notte col figo occasionale.
Del quale, peraltro, non mi può importare di meno.