l'orsa di mezzo

Perché tra il maggiore e il minore non c'è un buco nero


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Dodicesimo: esiti post-traumatici da vacanze romane.

– Come faccio a leggere qualcosa di tuo?

– Ti presto un libro? Ne ho tanti!

– Solo se l’hai scritto tu!

– Le capre mica scrivono libri, al massimo se li mangiano.

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I nati sotto il segno della Capra (o Pecora) sono persone dal carattere affettuoso, sensibile e timido. A volte possono mostrarsi generosi e gentili, ma solo se gli fate simpatia. La loro caratteristica principale è l’inventiva, non stanno mai fermi e amano sempre avere qualcosa a cui pensare. Hanno sempre bisogno dell’aiuto di qualcuno che sia in grado di indirizzarli verso la strada migliore, altrimenti possono perdersi nei loro mille progetti. L’aiuto di qualcuno che li indirizza, può essergli molto utile anche in campo lavorativo, dove avranno delle gratifiche interiori.
Le persone del segno Capra (o Pecora) hanno una creatività cosi grande da dividerla anche con gli altri. Sono persone molto altruiste, in grado di dare senza chiedere nulla in cambio, caratteristica che li rende particolarmente affascinanti agli occhi di un probabile partner (e ce credo).
Nella vita di coppia, si dimostrano sempre molto tradizionalisti (questa, poi), amano costruire un rapporto su solide fondamenta e hanno bisogno di onestà e lealtà.
Se la persona amata riesce a dargli queste cose, il segno della Capra può vivere rapporti d’amore lunghi nel tempo senza sentire il bisogno di evadere. Attenti però, non tradite una Capra (oPecora) perché queste persone non sopportano nessuna forma di tradimento e possono chiudere un rapporto in pochi secondi senza pensarci su.
Uno degli errori più comuni da attribuire alle persone del segno Capra (o Pecora) è quello di perdere le speranze già alle prime difficoltà, in questo caso hanno bisogno di qualcuno che li supporti in pieno per riuscire nel loro obiettivo.

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Undicesimo: miss marmalade

Ovvero quante cose si possono imparare mentre gli altri stanno spaparanzati al sole.

 

Cose che avrei preferito non sapere:

1- come ci arrivano i vermi dentro le ciliegie (e qua suggerirei ad una carissima persona che si fa sempre in quattro per soddisfare ogni mia curiosità di rispondermi, la prossima volta: “Sì, davvero, giornata splendida”).

2- quanto tempo ci vuole a snocciolarne un chilo e mezzo (di ciliegie, non vermi) di quelle piccole.

3- perché le brave massaie fanno sempre le marmellate di prugne, pesche, albicocche, fragole, e mai quella di ciliegie.

Cose che ho imparato:

1- i nomi di tutti gli amichetti del mio piccolo vicino di casa Kevin che oggi giocavano nel cortile qua sotto mentre io sul balcone snocciolavo ciliegie, e parolacce (sottovoce).

2- non sono portata per i lavori che richiedono grande pazienza, ma ce la metto sempre tutta.

Cose che so:

1- Ho la nausea.

2- I bordi delle mie unghie non torneranno mai più ad avere il loro colore naturale. Pessimo è vero, ma sempre più gradevole del viola-vomito di ciucco.

3- Se qualcuno fosse entrato all’improvviso in casa mia oggi pomeriggio avrebbe pensato che avessi appena sgozzato un camion di maiali.

4- La marmellata di fragole è buonissima, oltre che molto facile da fare.

Cogliere la prima ciliegia matura dell’anno e ficcarsela in bocca è una delle meraviglie più meravigliose della vita.
Ed io son riuscita a rovinare anche quella.

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Decimo: venerdì avariato

fariCon un lancio preciso sparo il mozzicone attraverso la fessura. Spio la traiettoria nello specchietto, quel tanto che basta per vederlo esplodere in un piccolo fuoco d’artificio rosso.
Posso chiudere il finestrino, ora, per questa volta è andata bene, nei prossimi sette minuti non mi darò del deficiente mentre l’inconfondibile puzzo di bruciato mi costringe a fermarmi e cercare il bastardo tra i sedili, prima che la carretta vada a fuoco.
Ci mancherebbe solo questo, a rendere perfettamente merdoso questo venerdì avariato.
Dodici febbraio, me lo devo segnare, l’anno prossimo staccherò la sveglia e dormirò tutto il giorno, cascasse il mondo, anche se di questo passo cascherà veramente e mi seppellirà con tutto il letto.
Ce l’ho ancora davanti la faccia del capo: tonda, paonazza, a un passo dall’esplodere: la vena tortuosa in alto a sinistra del cranio pelato, minaccia pulsante, la bocca allargata e disgustosamente umida: “Ti tengo d’occhio, Geriani, TI TENGO D’OCCHIO!!”.
Io stavo lì, davvero contrito, ipnotizzato dalla vena, l’espressione ingenua o ebete a seconda dei gusti che mi viene quando mi sento aggredito e che, lo so, alimenta l’altrui incazzatura, lo so.
Non ricordo cos’altro ha detto, tutto preso com’ero da quel volto di neonato brutto-congestionato-urlante, “Adesso esplode davvero”, pensavo, e già vedevo brandelli di carne e occhi e pelle di cervello vuota spiaccicarsi alle pareti, consideravo con raccapriccio il fatto che i denti mi sarebbero arrivati in faccia.

E’ che io non c’entro niente con quel posto.
Le giacche e le cravatte e i sorrisi di plastica mi danno il vomito.
E gli ammiccamenti, e la competizione.
Ho mentito, sì, è solo questa la mia colpa: aver ceduto al disperato istinto di sopravvivenza grazie al quale superai brillantemente la selezione per ottenere il lavoro. Ho mentito, recitato, bene, ecco. Del resto è quello che ci si aspetta da me, no? Che imbrogli la gente.
Ho mentito spudoratamente, come un tossico in crisi d’astinenza, come posseduto dall’idea di una scopata dopo mesi di astinenza; cosa volete che me ne importi delle vostre polizze, dei vostri contratti?
Lo so che i clienti me lo leggono negli occhi l’imbarazzo.
Lo so che, con tutti i corsi che mi avete costretto a frequentare, non sono ancora convincente.
Lo so che non basta conoscere a memoria le condizioni di assicurazione, lo so.
Ma i miei occhi non sanno imparare a fingere, non obbediscono.
Fatemi fare qualcos’altro. Venitemi incontro.

Ma ora è un serpente a venirmi incontro. La stessa, affezionata, fotocopiata sequenza di fari che, come briciole di pane, ogni sera mi accompagna a casa, casomai mi perdessi, casomai alla terza rotonda mi venisse in mente di sbagliare uscita, casomai.
Bip – whatsapp – lampo verde.
Silvia, ANCORA Silvia e la sua selfie sbaciucchiosa – Se non ti chiamo sempre io, sparisci. Questo mi fa pensare che il tuo interesse per me non corrisponda al mio. Non è così, vero? Dimmi che non è così. Un bacio. Faccina triste faccina triste faccina triste bacio bacio bacio cuore gattino.
Accosto, quattro frecce, respiro di pancia come ho imparato al corso “Dominare l’emotività nociva”.
Non ho mai imparato a usare il t9 guidando. Neanche quando non guido, a dire il vero.
E’ un attimo. Steso a terra, aspiro impotente l’alito fetido della tigre, gocce di saliva puzzolente mi cadono in faccia. Ora mi mangia.
Apro il finestrino e l’aria gelida si mangia la tigre.
Rispondo – E’ proprio così. Ti tenevo buona per i momenti di magra, ora ne ho abbastanza. Ma quale bacio. Scusa.
Cancello “scusa”, nessuna faccina – invio.
Il serpente prepotente mi risucchia, con le sue sfumature bianche gialline rosse azzurrine lilla.
Fra dieci minuti sarò a casa, butterò in un angolo la cravatta; mia madre, pallida, la raccoglierà dicendo “Ti ho fatto i tortellini che ti piacciono tanto”.

Imbocco la terza rotonda.
Sbaglio uscita.


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Nono: no, no.

Bando alla tristezza, basta parlare di funerali (anche perché ho già cambiato idea sulla colonna sonora. Adesso, per dire, sceglierei questa. Di questo passo mi ci vorrà una cerimonia funebre di tre giorni, per farci stare tutte le mie canzoni preferite. E’ come per i libri, o le scarpe: come fai a sceglierne UNA?).

E’ necessario un argomento più ameno (più a meno? Gulp). Tipo la pubblicità.
In casa mia si usa pochissimo la tv, però da quando vivo da sola part-time, in quei part-time ho preso l’abitudine di accenderla durante i pasti, più che altro perché, stando sempre in silenzio, parlo da sola (o con le piante o i mobili, quando non con la polvere, mannaggia a lei. Ma se lo faceva John Fante posso farlo anch’io, tiè), e parlare con la bocca piena non sta bene, quindi mi tengo impegnata guardando il tg. E bestemmiando educatamente tra un boccone e l’altro.
La dannata abitudine però prende talvolta piede anche quando ho le ragazze, e devo dire che, in barba a quanto ho sempre sostenuto, la tv offre un sacco di spunti di discussione e confronto, nonché occasione, per la prole, di imparare nuove bestemmie.

Ma gli argomenti migliori vengono dagli spot pubblicitari. Aspetti fondamentali della vita quotidiana che, altrimenti, non verrebbero mai affrontati.
Chi non ha mai desiderato spiegare ai suoi figli, mentre si è a tavola, che cos’è l’eiaculazione precoce? O la disfunzione erettile? Oppure a cosa serve un lubrificante? O perché le donne di una certa età devono mettere il pannolino quando vanno in ascensore?
O, salatis in fundo, per quale motivo un tizio, a una festa piena di belle ragazze ammiccanti, esprima una struggente nostalgia per le patatine di una volta?

Io sopporto stoicamente tutto, e non mi tiro indietro nemmeno di fronte all’argomento più spinoso (certo che quella del lubrificante è dura. Oddio… va beh), ma se c’è una cosa che non riesco proprio a sostenere, mentre sto mangiando, è la vista delle unghie dei piedi marce.
Mi girano talmente le pale che nel mio povero stomaco affranto l’helicobacter decolla e mi esce dal naso.
Quindi vi chiedo per favore, signori della tv, io ce la metto tutta ma anche voi venitemi incontro.
Infliggetemi piuttosto una pupù liquida in più, ma togliete quella cosa delle unghie!

pupù liquida


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Ottavo: di canzoni e funerali (botta d’allegria).

Ci pensavo da qualche giorno.
Saltuariamente, certo. Non sono argomenti sui quali, per autodifesa, amo soffermarmi a lungo, ma da quando Antipastomisto ha scritto di canzoni e funerali è rifiorito in me lo sgomento che provo di fronte all’idea che il mio corpo debba subire un giorno un funerale classico, con odore d’incenso e sacerdote svogliato intento ad incrociare quattro sensate parole pie su una vita che di cattolico non vuole avere nulla: la mia.
Morire ok, ma “Io credo, risorgerò” no, non ce la posso fare.

Non ho commentato da lei, perché non ho una memoria così precisa e un carattere così deciso da riuscire a puntare il dito a comando su un repertorio quasi infinito (data l’età) di immagini e suoni mentali ma il tarlo è rimasto.
Ricordi ondulati e fantasie funebri hanno ricamato distrattamente sulla settimana in corso.
Anni fa consegnai a una persona cara le istruzioni per il mio funerale. Francamente non ricordo cosa scrissi, non so nemmeno se sarei ancora d’accordo con me stessa e in questo momento non ho alcuna voglia di verificarlo.
Facciamo che va bene così. In fondo la cosa riguarderà tutt’altri che me.
Ma se c’è una canzone dalla quale vorrei essere accompagnata nell’ultimo viaggio terreno, ho deciso che è questa: