l'orsa di mezzo

Perché tra il maggiore e il minore non c'è un buco nero


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Quattordicesimo: una faccenda di costume.

La vedo da dietro.
Indossa un costume intero, nero, da cui spuntano due lembi di mutanda, bianca.
Nulla distraeva la mia pigra attenzione vacanziera dall’infinito azzurro che ho davanti, fino a un momento fa.
Non i bambini che sguazzano a venti centimetri dai miei piedi.
Non la madre sciatta che strilla Cristofer, Sciaron, Riciard, Selèn.
Neanche il trecentosettantaseiesimo cingalese con i suoi braccialetti sbiaditi.
Ma quei lembi di mutanda ribelle si impongono su tutto il resto, catturano il mio sguardo indolente, costretto ad abbandonare l’ipnosi a buon mercato dell’orizzonte.
Sono indecisa tra il riso interiore e la tenerezza, ma poi opto per entrambi. Pare che si possa.
Forse sorrido anche fuori, spero non troppo.
L’uomo, pantaloncino da bagno in fantasia floreale che dal culmine dell’addome prominente arriva a sfiorare il polpaccio, le cammina a fianco.
Sulla testa portano due berretti da pescatore. Bianco lui, grigio perla lei.
Li vedo arrancare sul bagnasciuga, la donna un po’ di più. Così il compagno, con dolcezza, le prende una mano e l’aiuta a camminargli a fianco.
Guardo quelle mani rugose. Strette, amiche.
Per un attimo penso che io, con la mia smania di vivere adesso non so neanche cosa, me la sono giocata, quell’affettuosa complicità residua, così importante quando davanti hai solo il declino. Quando non ti resta altro.
Ma poi chi lo sa, cosa succede. Tutto ha un prezzo e io ho scelto quello da pagare più avanti.
Intanto mi godo altro, poi si vedrà.
I due guadagnano faticosamente qualche metro, poi si fermano e cambiano direzione.
Girandosi la donna mostra, sul lato destro del costume, quella che sembra una striscia chiara. Mi trovo a sperare che i lembi di mutanda siano in realtà un motivo collegato a quella striscia ma stringendo gli occhi miopi vedo che no. Essa è invece leopardata, mentre la biancheria, purtroppo, resta candidamente tale.
Avanzano con prudenza sul fondo sassoso, e quando l’acqua fresca oltrepassa i ginocchi ne raccolgono un po’ e se la spalmano addosso.
Da molto tempo non vedevo fare quel gesto, che peraltro ho sempre considerato un’inutile tortura; io sono di quelli che contano fino a tre poi si tuffano e amen.
Di colpo l’uomo si lancia in avanti e sparisce, flessuoso, tutto tranne il berrettino bianco. Un balenottero in semifantasia floreale che rivela, immerso nel liquido, una stupefacente e antica agilità.
Nuota e nuota, come se non avesse mai fatto altro. Intuisco, affascinata, la sua gioia. Oltrepassa la boa, ebbro di leggerezza, diventa una piccola boa bianca a sua volta e poi ritorna per invitare la compagna a raggiungerlo.
Ma lei non dev’essere un animale altrettanto acquatico.
Lei, con la vezzosa striscia leopardata e la mutanda che spunta da sotto, rimane a riva, non ha il coraggio. Fa un passetto in avanti, illudendolo, e poi si ritrae, nonostante gli inviti a larghi gesti, finché lui si rassegna e torna, per la sua bella, alle fatiche della terraferma.
Amore è versare un po’ di se stessi nel pendere verso l’altro. Ne vale la pena, fino a quando non si perde l’equilibrio.

Ecco le mani che si riallacciano. Ecco che il cammino stentato riprende.
Li vedo allontanarsi piano tra la folla di bimbi esaltati dai primi bagni.
Un cappellino bianco, l’altro grigio perla.
Poi non li vedo più.

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