Ore 18,40. IPERCOOP. Corsia sughi pronti-scatolame.
Odio fare la spesa.
Maledico per l’ennesima volta l’infausta scelta di non prendere il carrello, che mi costringe, come sempre, a posare da qualche parte il cesto rosso, strapieno, e poi smarrirlo. Ma non hanno ancora inventato un cesto wireless che torna da mamma a uno schioccare di dita?
Ho già perso almeno due dei miei preziosissimi minuti e sto iniziando a imprecare ad alta voce, quando lo incontro.
Mi lancia un “Ciao!” di quelli lunghi e trascinati, abbinato a: sguardo laser e Durbans-48 denti. Non servono altre parole. Ma bravo!
Mentre copioincollo il saluto, attenta a zipparlo perché non sembri troppo felice, passo oltre, fingendomi interessata a un pesto siciliano di cui non mi è mai fregato nulla.
Lo stato confusionale dura un attimo, considero che dall’ultima volta che lo vidi – saran passati almeno 15 anni – è migliorato parecchio; l’età gli ha fatto bene.
Come a me, del resto, l’ho scoperto or ora, toh.
Recupero i frammenti di me stessa sparsi in giro e mi dirigo con passo deciso verso il reparto vini. Un buon rosso è quello che ci vuole, per accompagnare l’arrosto e la serata con mio marito verso un prevedibile, ma sempre gradito, lieto fine. Magari condito da un pizzico di pensierino piccante sul tizio che ho appena incontrato.
Lungo la strada trovo anche il cesto, ottimo pretesto per il mezzo sorriso idiota che non riesco a cancellarmi dalla faccia.
Sono ormai in dirittura d’arrivo quando, ai minestroni surgelati, rieccolo, insieme alla consorte. Mi risaluta come se mi vedesse per la prima volta, ma il “ciao” che mi spedisce stavolta è appena accennato, quasi distratto, serio, mentre lei, affatto gentile, mi squadra dai capelli alle scarpe, gelida più delle zuppedelcasale, e se lo tira dietro. Direzione: pollame.
Pesco ancora un merluzzo (a filetti) e mi dirigo, sogghignante, alle casse.
Il cesto lungo il percorso esonda. Perdo il parmigiano e due yogurt.
Aspetto, impaziente, il mio turno.
Ho un sesto senso per le casse sfigate, quando arrivo io si rompe sempre qualcosa, o manca un codice a barre, o la cassiera abusa di Tavor.
Frugo nella borsa alla ricerca della tessera-punti e con la coda dell’occhio lo scorgo, due casse dietro di me.
La mogliettina è impegnata a svuotare il carrello (lei sì che è previdente, non come me); lui coglie l’attimo e mi linka lo sguardo addosso.
Lo sento trapassare ogni strato di stoffa.
D’istinto inarco lentamente la schiena, in un gesto impercettibile al resto del mondo, conscia dell’effetto magnetico di curve anatomiche di cui – oh, che peccato – la consorte in questione è dannatamente sprovvista.
Mi stupisco della perfidia con cui non-penso. Non è da me. Sì, è da me.
Ma che caldo fa qua dentro! Ecco, tocca a me, peccato…
Pago, spargendo centesimi di rossore.
Infilo nei sacchetti la pasta, i piselli, il latte, il vino, il pane, l’arrosto, il merluzzo, l’altro mezzo sorriso e me ne vado.
Spero non si sentano le fusa, adieu.
Ego e dispensa, per oggi, son salvi.