l'orsa di mezzo

Perché tra il maggiore e il minore non c'è un buco nero


15 commenti

Maratona malefica

Mi aspetta un weekend che potrei eufemisticamente definire allucinante.
Venerdì sera una torma di adolescenti si accamperà nel mio salotto, peraltro non munito di porta,   allo scopo di compiere un’impresa di quelle che tutti noi tardo-mezzetini (come definire altrimenti coloro che albergano, e neanche da poco, nella mezz’età?), ne sono certa, considererebbero una forma raffinata di tortura moderna: la maratona di Harry Potter, ergo qualcosa come sei/sette/otto (non voglio nemmeno sapere quanti sono) film dell’occhialuto maghetto visti uno dietro l’altro.

Durata prevista dell’impresa: DICIOTTO ORE.

Da un’attenta valutazione delle possibilità che mi si presentano è emerso quanto segue:

  1.  Andare a dormire a casa del mio ex-marito (“ma nel mio letto, tranquilla” ha aggiunto la premurosa figliola proponente);
  2.  non lasciarglielo fare (come proposto da mia madre);
  3.  accomodarmi con loro sul treno del binario 9 e tre quarti e immergermi nell’amena atmosfera di Hogwarts;
  4.  mettere qualche goccia di Roipnol nella cocacola, così da spegnere la tv appena cadono tutte addormentate;
  5.  agghindarmi in assetto da guerra, uscire con le amiche, abbordare un promettente partner occasionale, farmi sbattere come un tappeto per tutta la notte in una camera d’albergo e riemergerne, confusa e felice, il pomeriggio di sabato.
  6.  improvvisare un assetto qualunque, uscire con le amiche, impregnare di alcool ogni remota cellula del mio corpo, strisciare in casa a notte inoltrata (tanto le fanciulle, rapite dagli incantesimi del Loro, non si accorgerebbero di nulla) infilarmi vestita nel mio magico nuvoletto e riemergerne, confusa e infelice, il pomeriggio di sabato.

Da un’approfondita analisi di ogni suesposto punto ho dedotto quanto segue:

  1.  Non se ne parla nemmeno;
  2.  non faccio parte della generazione di mia madre, che riguardo alle eventuali ripercussioni negative dei reiterati rifiuti genitoriali sul delicato equilibrio emotivo e psicologico dei figli pensava “chi se ne fotte”, anzi non ci pensava neanche, per cui in mancanza di particolari controindicazioni cerco sempre di accontentare la progenie, nel limite delle mie possibilità. Ergo: sarò anche scema ma questa gliela lascio fare;
  3.  intanto di sicuro non mi vorrebbero, e le capisco: non sono mai riuscita a guardare un quarto di film di Harry Potter senza iniziare a russare, e per una ragazzina una madre russante in mezzo a sette amiche può risultare imbarazzante. Poi tanto so già che rimarrei delusa. Nessun incantesimo è in grado di far trasmigrare ormoni adolescenziali, seppur in ambiente saturo, verso una tardo-mezzetina al punto da allontanare il temuto avvento della menopausa.
  4.  qualcosa mi dice che forse non è il caso;
  5.  solo scrivere la frase “agghindarmi in assetto da guerra” mi stanca tremendamente, e posto che ce la possa fare sono certa che non abborderei nulla di esente da panzetta, alitosi,   disfunzione erettile, idiozia conclamata e via dicendo, o in grado di promettere qualcosa di più del desiderio di iscrivermi a un corso accelerato di rianimazione. Forse volevo scrivere rassegnazione.
  6. Niente.

Se nessuno ha qualcosa di meglio da propormi, credo sia evidente quali sono i miei programmi per il prossimo venerdì sera.

Tanto più che una sbornia mantiene sempre ciò che promette. Che si tratti di un gran mal di testa è un dettaglio.

harry.potter

Pubblicità


24 commenti

Settimo: ma vaffantube!

Gemma ha messo la sveglia alle sei.
Si è alzata e preparata con la solita, meticolosa cura. Lenti a contatto, trucco perfetto in ogni dettaglio, forma troppo giusta ai capelli. Leggins, anfibi e maglione preferito.
Un treno la consegna alla città, punto d’incontro con le  amiche. Insieme, su altre rotaie, attraversano parte del norditalia per raggiungere la metropoli e partecipare all’evento che aspettavano da mesi.
Un’ora di coda per entrare nel locale poi, finalmente, tutti i loro youtubers preferiti a portata di mano, occhi, voce, selfie, tachicardia.
L’ambiente è diviso in settori. Stracolmo di gente, soprattutto ragazzine come lei. Musica e parole a volume altissimo.
Per fare una foto con chiunque bisogna mettersi in fila. Una fila eterna e pressante. Senza bere, perché dentro non si può portare nulla. Al bar, per la modica cifra di due euro, ti vendono un bicchiere d’acqua, ma se esci dal tuo posto torni in fondo, quindi Gemma e le sue amiche neanche ci pensano a perdere la posizione conquistata. Preferiscono mille volte arrivare alla meta disidratate.
Mamma l’aveva detto, di non mettere il maglione di lana, ma la mamma, in quanto tale, non capisce mai niente.
Tre ore di attesa valgono una foto con Arf, Casper, Timer e Toy, ma quando Gemma riesce a mettere insieme i pezzetti di cuore e a raggiungerli, i saluti masticati mille volte cadono nel vuoto, e il suo sguardo adorante rimbalza sui menti dei beniamini già stanchi, che manco fanno lo sforzo di abbassare gli occhi sull’ennesima fan, ma sorridono imbalsamati al click numero mille.
“E’ stato come mettersi  in posa tra due statue di cera” racconterà delusa ai genitori più tardi. “Ma non era colpa loro, era l’organizzazione, che non funzionava”. Già, l’organizzazione.
Dai Beatles in poi, annusato il business, dietro questi eventi c’è sempre chi sa ricavare il massimo da ogni occasione, chi lucra senza ritegno sulle emozioni esplosive di sciami di ragazzine che si consumano per un sorriso. E spendono, spendono, spendono. Un potenziale ormonale inesauribile da sfruttare col minimo sforzo, senza neanche prendersi il disturbo di mettere due transenne. Tanto, al prossimo richiamo, quelle tornano. E’ gente che per un bacio di un OneD baratterebbe la pelle di suo padre (perché quella della madre la darebbe via per molto meno).
La giornata sfuma praticamente in code. Un’ora per una selfie con Mizzy e Jam. Altre due per una con Ralphie che poi va via e lascia solo Zen, che “chi lo conosce ma già che ci sei la foto la fai con lui, lo vuoi mica umiliare?”
La fiera delle webvanità si consuma così. In fila. Sudati risparmi sborsati per morire di sete, di caldo, di ressa, per avere in cambio briciole di nulla.
Più tardi un’altra somma di treni riporterà Gemma e le sue amiche a casa. Sfatte, insoddisfatte, miracolosamente illese ma comunque felici di esserci state.

L’adolescenza è una malattia.
Non esiste un vaccino, ci passano tutti e per fortuna prima o poi guarisce da sola.
Quasi sempre.